Homo videns by Giovanni Sartori

Homo videns by Giovanni Sartori

autore:Giovanni Sartori [Sartori, G.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
ISBN: c89bc625417e06dacf805045c2a48ec3d8955066
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2000-04-14T22:00:00+00:00


3. Il villaggio globale

L’espressione «villaggio globale» è un azzeccato conio di McLuhan (1964, 1968), l’autore che più di altri e per primo ci ha fatto capire l’avvento dell’età televisiva. Il conio è azzeccato, anche se ambiguo. E forse deve il suo successo proprio alla sua ambiguità.

Cominciamo dal «globale». La televisione ha potenzialità globali nel senso che cancella le distanze visive: ci può far vedere, in tempo reale, eventi di qualsiasi parte del mondo. Ma quali eventi? McLuhan riteneva che la televisione avrebbe intensificato al massimo la responsabilità del genere umano, nel senso di responsabilizzarci ovunque e di tutto. Se così, l’ovunque è limitatissimo, ed essere responsabilizzati di tutto è troppo.

Come ho già ricordato, in metà del mondo la cinepresa non entra; il che si traduce in un mondo oscurato che la televisione fa addirittura dimenticare.

Un altro formidabile fattore limitante è il costo. Al giornale che riceve le sue notizie da un’agenzia di stampa, sapere cosa accade nel mondo non costa niente, o comunque pochissimo. Ma spedire in giro una troupe televisiva costa moltissimo. Di novantanove eventi su cento non ci viene fatto vedere niente in base a questo criterio. Un criterio di cui capisco la forza contabile, ma che massimizza l’incompletezza e l’arbitrarietà delle informazioni che ne risultano. Alla resa dei conti, la televisione «globale» è da dieci a venti volte più assente, nel coprire il mondo, del giornale. E se è vero che il vedere apre una finestra sul mondo che la descrizione scritta non può eguagliare (in efficacia), è altrettanto vero che la scelta delle finestre da aprire è scriteriata.

Peraltro il «dappertutto» non ha soltanto una valenza fattuale; ha anche una valenza potenziale e psicologica. Il cittadino globale, il cittadino del mondo, «si sente» dappertutto, e quindi è pronto a sposare cause di qualsiasi natura da ovunque. In No Sense of Place Joshua Meyrowitz (1985) svolge questo tema con finezza in chiave di un nostro proiettarci dappertutto che ci lascia, appunto, «senza senso di posto». Secondo Meyrowitz, la televisione fonde «comunità discrete», e così facendo «rende qualsiasi causa o tema un valido oggetto di interesse e di preoccupazione per qualsiasi membro del pubblico». Difatti non c’è ormai causa, per sballata che sia, che non possa appassionare e coinvolgere pubblici di tutto il mondo. Ai primi del 1997 l’America si è mobilitata per salvare un cane Labrador (di nome Prince) dalla «esecuzione» per iniezione. Il proprietario ne ha proposto la deportazione, e il veterinario (sentendosi «boia») si è rifiutato di «giustiziarlo». Nel 1988 abbiamo visto per giorni due balene imprigionate dai ghiacci salvate metro per metro da seghe a motore, e poi da elicotteri, infine da un rompighiaccio; insomma la tipica creazione televisiva di un evento. E siccome le stranezze fanno notizia, eccoci coinvolti in gruppi che rivendicano i diritti (questa volta davvero «naturali») degli animali, il divieto del nudo (magari anche nelle statue) e, perché no, il ritorno della zanzara a fini di equilibrio ecologico. Responsabilizzazione o stravaganza?

Si potrà obiettare che la televisione non globalizza soltanto le stravaganze.



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